martedì 30 dicembre 2014

Ciao 2014, aspettando con ansia sto' 2015

Siamo alla fine del 2014 e ho davvero bisogno di riordinare le idee accumulate nei 12 mesi passati, e scriverne mi aiuta molto.
Generalmente divido la mia vita in bene e male, ma questa volta voglio pensare l’anno passato ordinato in due categorie: ho fatto e avrei voluto fare.
Partiamo dall’ “avrei voluto fare” col dire che se può suonare come un elenco di rimpianti, in realtá vuole essere un monito ad imparare dalle opportunità sprecate.
Avrei voluto che la mia startup fosse diventata il mio futuro, e soprattutto che fosse stata più simile a me, a come vedo il mio lavoro. Cosi non é stato, e ho la mia buona dose di colpe. Sarei dovuto essere più risoluto e fermo su alcune decisioni. 
Quando ho cercato un nuovo lavoro, avrei voluto seriamente cercarlo fuori Berlino; sapevo che ormai non é più la cittá in cui vedo un futuro lavorativo serio e duraturo. Purtroppo ho visto sfumare una bella opportunità a Stoccarda e anche in questo caso ho la mia buona dose di colpe; in quel momento ho accettato l’alternativa che mi si é parata davanti, a Berlino, che portava con se tutti i difetti di questa città.
Avrei voluto fare di più per la mia salute, il tempo passa e non campo più di rendita da diversi anni ormai. E così uno sfogo trascurato é diventato dermatite; quel chilo in più che “tanto col caldo vado a nuotare e va via” ormai é sedimentato sul mio girovita; per non parlare della palestra, che frequento davvero poco. La mia filosofia é che per impormi di fare una cosa devo pagarla cara, così laddove non arriva il mio senso di colpa (ormai assuefatto a queste situazioni) arriverà il mio estratto conto; motivo per cui mi sono iscritto ad una palestra carissima con tutti i corsi del mondo inclusi, ma neanche questo ha sortito gli effetti sperati.
Avrei voluto fare di più per il mio “tedesco” inteso come lingua. L’orecchio ormai é abbastanza buono, nel senso che capisco quello che mi si dice, ma la bocca é poco allenata e infatti lo parlo pochissimo. Per il principio di cui sopra, ho speso soldi considerandoli un investimento per l’apprendimento della lingua, ma anche in questo caso, ne una tv nuova, ne la scuola semestrale hanno sortito alcun miracolo.
Infine, avrei voluto provare meno sensi di colpa verso persone che nei miei confronti non ne provano; sentirmi meno vincolato a rapporti che avrei dovuto lasciare andare giá da qualche anno e pulire la mia rubrica da contatti con cui la comunicazione é limitata ai “mi piace” su Facebook.
Nella categoria “ho fatto” partirei coi viaggi, unica vera ragione di vita ultimamente. I miei mesi sono scanditi dall’attesa per il prossimo viaggio e dalla loro organizzazione (forse sin troppo minuziosa). Quello che mi trattiene seduto alla sedia dell’ufficio é soltanto il pensiero che tra poche settimane sarò lí, il luogo esatto non conta, basta essere altrove. E così sono contento per aver girato una buona fetta di mondo, spendendo gran parte dei miei risparmi, ma essendone estremamente felice.
Ho fatto quello che andava fatto per il mio sostentamento, ovvero lasciare andare la mia compagnia che non poteva decollare visti i mezzi a disposizione, e accettare quello che mi permetteva di vivere agevolmente. Sono sceso a mille compromessi per il mio attuale lavoro, ma ne sono fiero. Questa volta la gastrite é stata abbondantemente scongiurata.
Ho dato un bel calcio nel sedere a quel blocco psicologico che faceva si che fossi generalmente restio a parlare inglese in pubblico, convinto del mio accento italico alquanto marcato. E se vi dicessi che c’é chi mi ha detto che lo trova persino simpatico?
Ho imparato a godermi Berlino per altri aspetti che poco hanno a che vedere con il Berghain; a non impormi la stessa routine ogni sabato sera. Da questo punto di vista ho già dato, e non vorrei tornare ai tempi in cui il sabato sera la terna aperitivo-cena-discoteca era un obbligo.
Ultimo ma non meno importante, qualcuno direbbe “in zona Cesarini”, durante l’ultimo mese ho fatto qualcosa per me, e per me soltanto: ho frequentato un corso di fotografia con un vero professionista. E mi é piaciuto un casino.
Direi che per il 2015 riparto da qui, da quello che mi piace e che voglio mi porti ad un futuro fatto di vere soddisfazioni, magari riprendendo anche una mia vecchia ma sempre presente passione: la musica.

E vi auguro di poter fare lo stesso.

domenica 26 ottobre 2014

Consigli su come sopravvivere al lavoro a Berlino

Piccolo decalogo su quella che è la vita lavorativa a Berlino:
  • A Berlino l’età non conta, questo significa che se hai 50 anni ti troverai a dire “agli ordini capo” ad un ventenne.
  • Durante un colloquio a Berlino l’esperienza conta poco, ma conta “qualcos’altro”, verosimilmente la personalità e la proattività, quindi trovate un buon modo per dimostrarvi all’altezza.
  • La meritocrazia a Berlino è relativa, il che significa che il più delle volte avrete quella fastidiosa sensazione di averla presa in quel posto.
  • A Berlino i salari sono relativi, più alti dell’Italia ma più bassi della media Germanica, e forse dei tedeschi, e questo significa che il più delle volte avrete quella fastidiosa sensazione di averla presa in quel posto.
  • A Berlino, se non sei tedesco sei straniero. Suona banale, ma è bene ricordarselo, prima che andiate dal vostro capo a lamentarvi di una qualsiasi cosa e vi sentiate rispondere qualcosa tipo “puoi sempre tornartene da dove sei venuto”.
  • Berlino è piena di Italiani messi peggio di voi e con più capacità di voi, quindi attenzione a quando alzate la cresta per una qualsivoglia ingiustizia, perché sentirete rispondervi qualcosa tipo “guarda che la fuori c’è la fila di gente che prenderebbe il tuo posto”, ed è vero!
  • Lo dissi già per quanto riguarda la ricerca della casa, ma a Berlino vince chi si accontenta, anche sul lavoro. Prendete quello che vi viene dato con gratitudine, fate quello che vi viene richiesto con un sorriso, e farete probabilmente carriera; in caso contrario subentrerà quella fastidiosa sensazione di averla presa in quel posto.
  • A Berlino il lavoro c’è, va cercato perché non vi viene dal cielo, ma da qualche parte c’è. Il problema è che va preso con molta umiltà e gratitudine verso i tedeschi e la Germania e forse noi non ne siamo tanto capaci. Forse perché non vogliamo più sottostare a certi compromessi, forse perché ci intortano con tante bugie sulla Germania e su Berlino, forse perché le nostre aspettative sono troppo alte.


Per concludere, a Berlino le occasioni non mancano, ma è giusto sapere che per uno che ce la fa, 1000 altri non resistono nemmeno un anno; non mi stancherò mai di dirlo, io per primo sono sempre con un piede in aeroporto pronto a cambiare Paese, perché questa città non è per tutti, e non è quella che vi descrivono i tiggí. Alla fin fine, quello che quasi sempre predomina a Berlino, è quella fastidiosa sensazione di averla presa in quel posto.

venerdì 3 ottobre 2014

Terzo anno

Ebbene si. Mi trovo in USA per una breve vacanza, e mentre il jet-lag mi ha privato del sonno, ho realizzato che ad ottobre sono 3 anni che mi sono trasferito a Berlino.
è stato un anno intenso, pieno di vita, come al solito. L’anno scorso scrivevo del mio secondo anno a Berlino da Sofia, proprio nel mentre che la mia startup stava prendendo forma. Ora a distanza di un anno quella parentesi è chiusa e io già da aprile ho un altro lavoro full time in un’altra azienda. Perché poi alla fine Berlino è anche questo, un’altra possibilità te la da sempre, sempre che tu sappia coglierla al volo. E così mi ritrovo a pensare al mio rapporto con questa città a distanza di 3 anni, che per Berlino valgono come 30, ma di nuovo da molto lontano.
Sono a Chicago, solo da 2 giorni, eppure sono già pazzo di questa città. Mi succede sempre quando vengo in America, è come un richiamo fortissimo, un’attrazione fatale forse fomentata da mille serie tv viste in tenera età. E poi so già che quando andrò via sarà un pugno nello stomaco, un altro. Ecco, Berlino per me non è stata così, non lo è tuttora; non è stato un colpo di fulmine, non mi ha attirato a se con inutili moine (quelle che i tiggi nazionali propinano e che sono solo favole), non è stata nemmeno un ripiego. Ho voluto provare, certo che peggio della vita che stavo vivendo non poteva essere. E poi lentamente, con un vicendevole corteggiamento abbiamo deciso che poteva valere la pena avere una relazione. Ma ogni giorno costruiamo qualcosa di nuovo, litighiamo, facciamo pace, litighiamo di nuovo.
Guardando indietro ai 10 motivi che mi trattengono qui e a quelli che mi farebbero andare via, sinceramente comincio a ripensare seriamente alla mia permanenza a Berlino, alla luce del fatto che la bilancia comincia a pendere verso i secondi 10 motivi. E poi come ogni bella storia d’amore che si rispetti, in amore vince chi fugge! 
Ma a parte questo comincio ad essere stanco. Stanco di quello che scrivevo come un motivo per restare, ovvero che non e’ una città per vecchi, e purtroppo le migrazioni di massa di questi ultimi due anni, hanno ulteriormente abbassato l’età media. E se va bene vivere la notte come quando avevo 18 anni senza essere giudicato, non va bene trovarsi a fare colloqui o a dipendere da gente che ha un 9 davanti l’anno di nascita. Faccio davvero fatica a configurarmi in un contesto dove il mio “capo” o chi decide per me non ha nemmeno 2 anni di esperienza alle spalle. Ne va del mio orgoglio, dell’amor proprio, e ormai qui sta diventando la regola. Non avrei mai voluto far ruotare la mia vita o la mia soddisfazione personale intorno al lavoro, ma purtroppo è l’attività che occupa più tempo nella mia giornata, e diventa sempre più difficile se hai una certa età e una certa maturità professionale.
Nella lista dei 10 motivi che mi farebbero scappare da questa città, parlavo degli italiani a Berlino. La situazione è chiaramente degenerata, e se da una parte hanno colonizzato la città con 1000 nuovi ristoranti (il che non mi dispiace), dall’altra hanno fatto venire alla luce quello che i tedeschi sono, arrivisti e speculatori. Purtroppo l’arrivo in massa di italiani, spagnoli, greci e portoghesi alla ricerca disperata di un posto di lavoro e di una casa, ha portato ad un decremento spaventoso dei salari (vista la mole di gente disposta a lavorare per 1/5 dello stipendio) e contestualmente ad un aumento vertiginoso degli affitti per le case. E il trend non è destinato a cambiare.
Inoltre, dopo un po’ che vivono qui, quando la situazione si prospetta meno rosea di quella italiana, subentra la frustrazione, e a questo punto è tutto uno sfogo sul primo che capita (tendenzialmente connazionale, vista l’incapacità di poterlo fare sui tedeschi data la mancanza delle conoscenze linguistiche per farlo) oppure frega frega il prossimo tuo.
Inevitabilmente questo si sta riflettendo sulla mia vita, e di chi è qui da più tempo di me: prima di tutto sul lavoro, la sensazione è che io non possa più chiedere niente, poiché nel caso l’uscita so dov’è e soprattutto sanno che di gente disposta a lavorare per meno e in silenzio ne trovano quanta ne vogliono. E parliamo di lavori altamente qualificati (non oso immaginare per quelli per cui non è richiesta nemmeno una laurea). Per quanto riguarda la casa, anche volendo cambiare zona (avvicinandomi all’ufficio per esempio) ormai sono tutte carissime rispetto a quando arrivai, per tanto me ne resto qui, dove per lo meno l’affitto rimane quello di 2 anni fa. Insomma, è diventato tutto un prendere o lasciare, un accontentarsi. E io, come forse si sarà capito dai miei post precedenti, non mi accontento facilmente.

Per concludere, cara la mia amata-odiata Berlino, in questi 3 anni ce la siamo spassata è vero, ma se i brutti momenti continueranno ad offuscare quelli belli, non potrò fare altro che lasciarti, ma se non altro resteremo amici. Per sempre.

lunedì 31 marzo 2014

The Startup Life - Ovvero auguri e figli maschi!

Questo post si ricollega al precedente e si basa su un articolo che ho scritto di recente.
Mi chiedono spesso, troppo spesso, se è figo avere una propria compagnia e soprattutto come si trovano gli investitori.
In questo caso, come in quasi tutto nella vita se escludiamo la cucina, non ho la ricetta ma solo un po’ di esperienza, e mi limiterò a questa nello scrivere quanto segue.
Facendo il punto sull’attuale situazione della nostra compagnia, potrei dire che non siamo in ascesa, ne in discesa, ma stabili. E questo in genere non è bene, perché i dettami del successo di una startup impongono numeri da capogiro, e se i numeri comunque non crescono, difficilmente attirerai altri investimenti e difficilmente avrai i mezzi per crescere. Perché fare startup, nel caso tu abbia “solo” una buona idea e pochi mezzi a disposizione, significa cercare soldi per metà del tuo tempo, e nell’altra metà assecondare chi i soldi te li ha già dati o in qualche modo può darteli. E questo nessuno me lo aveva detto.
Ma a cosa servono questi soldi? Non bastano un computer, una buona connessione e una redbull?
Il problema della startup è quella visione un po’ bohémienne che si ha di solito: siamo tutti li a pensare di fare una nuova Instagram in un bar, in due persone, con pochi spicci e conoscenze tecniche. Poi arriva Facebook e ti compra per un miliardo di dollari.
La realtà è un tantino diversa.
La startup è per prima cosa un’impresa, più piccola, più snella, ma è pur sempre un’impresa. Questo significa che richiede della burocrazia, la quale richiede quasi sempre un legale e un contabile, che costano. Per dire una banalità, difficilmente potrete vendere un servizio senza la consulenza di un legale, e nel nostro caso, solo per essere sicuri che una cosa fosse bianca o nera, abbiamo speso 500 euro per sentirci dire che era tutto molto grigio. Se poi cominci a farti aiutare da freelancer, sviluppatori e chicchessia, ecco che si entra nell’universo parallelo dei contratti, con relativi pagamenti di fatture e successive detrazioni.
La conclusione di tutto questo vangelo è che la startup ha bisogno di soldi per partire ed andare avanti. Qui entra in gioco la zoccola che è in ognuno di noi, perché cercare soldi per la proprio impresa è un po’ come prostituirsi e purtroppo la foga di avere soldi facili e subito fa si che si operino scelte quanto meno sbagliate.
Sembrerebbe, e sottolineo il condizionale, che la strada obbligata per iniziare l’avventura sia entrare in qualche acceleratore / incubatore che in cambio di una percentuale dell’azienda (dell’ordine del 10%) ti da soldi (15000 - 25000 euro), un ufficio, ti preparano con una serie di workshop e mentori e ti mettono a disposizione la proprio rete sociale (detta volgarmente “network”). Per entrare in questi incubatori bisogna fare preventivamente domanda, se questa viene accettata e selezionata allora vieni invitato a fare una presentazione del tuo prodotto/idea (gliela devi vendere) e se hai successo vieni chiamato per far parte del prossimo batch di startup. La fase di incubazione richiede che tu sia fisicamente presente nell’incubatore per almeno 3 mesi, e questo grava sui costi se significa trasferirsi in un’altra città.
Per la nostra startup siamo finiti nei Balcani, partendo da Berlino, da molti ritenuta la Silicon Valley d’Europa. Il punto è proprio questo, Berlino e’ affollata di startup e startuppari, quindi la concorrenza è davvero agguerrita. In generale gli acceleratori cercano di diversificare il proprio portfolio di startup con idee di business diverse tra loro e in settori diversi. Per cui fare domanda ad un incubatore berlinese significa fronteggiarsi con altre centinaia di candidati ed altrettante idee a cui si sommano quelle già entrate nei batch precedenti, e siete così sicuri di avere un’idea tanto buona e originale? Voi probabilmente ci credete, il problema è convincere chi vi deve selezionare.
Infatti noi abbiamo fatto domanda a diversi acceleratori berlinesi, senza ottenere il ben che minimo responso, e a guardar bene le loro condizioni di ingresso spesso non sono nemmeno così vantaggiose rispetto ad altre città meno blasonate (meno soldi a fronte di una maggiore percentuale di impresa). A questo punto cominciammo a fare domande in posti che nemmeno sapevamo posizionare su google maps: Vilnius, Tallin, …
E dopo pochi giorni fummo chiamati e selezionati da un incubatore balcanico. E siamo partiti. Di corsa.
Ora che il programma e’ finito, possiamo dire che ne e’ valsa la pena?
La domanda da cui partire è “perché hai fatto una startup?”: la risposta nel mio caso non e’ una sola. In primo luogo ero stufo di lavorare per persone dalla discutibile visione aziendale e leadership senza ottenere nulla a livello personale in cambio, ed essendo io un tecnico, ogni volta che mi trovavo a parlare con product-qualcosa o country-qualcosa o chicchessia-commerciale mi scontravo con un muro di piombo, e per quanto io mi sforzassi di esser chiaro, dall’altra parte era come se si parlasse una lingua diversa. In secondo luogo, forse peccando un po’ di presunzione, facevo fatica a trovare una posizione lavorativa che mi calzasse a pennello. A Berlino se sei sviluppatore un lavoro lo trovi, ma io personalmente non mi sono mai visto come uno sviluppatore, e non parlo meramente di titoli di studio, ma soprattutto di attitudine personale. Volevo fare qualcosa di diverso, a mio modo, coi miei standard.
Sono sicuro che queste risposte andranno benissimo a quanti ora come ora stanno pensando di licenziarsi e mettersi in proprio, ma vi consiglio di leggere fino alla fine del post per capire se ne vale davvero la pena.
Il programma e’ consistito in estenuanti mentor session, ovvero una serie di sedicenti esperti che veniva a parlare con noi della nostra idea, elargendo consigli a profusione (quando andava bene) o pareri spassionati; in 2-3 workshop su tematiche varie (di cui forse il più utile e’ stato quello inerente la presentazione della propria azienda), e un demo-day finale in cui ammaliare investitori accorsi a frotte (credo che in realtà non ce ne fosse manco uno). In tutto questo, per i 3 mesi in cui siamo stati li, dai nostri investitori veri e propri (i gestori dell’acceleratore) non abbiamo ricevuto nulla, il ben che minimo aiuto, salvo poi sentirci dire che eravamo stati lenti nel rilascio nel prodotto e che avevamo gestito male i soldi che ci avevano dato.
Nei mesi che siamo stati nei Balcani abbiamo avuto occasione anche di partecipare ad una blasonata competizione tra startup (che poi rendiamoci conto, competizione tra startup?!? L’analogia con la prostituzione la si vede anche con queste gare di bellezza) e l’abbiamo vinta! Senza nemmeno avere il prodotto live, eppure questa vittoria ci ha dato una buona copertura mediatica nella zona.
L’errore fondamentale nell’aver scelto i Balcani sta proprio in questo, tutto quello che abbiamo fatto ed ottenuto nei tre mesi e’ rimasto nei Balcani, tornati a Berlino siamo entrati nell’oblio. Dimenticati dai nostri investitori (da ogni punto di vista, economico e personale), ignorati dai media (visto che alcuni di quelli balcanici oltre alla barriera linguistica hanno anche l’aggravante del cirillico), con un network inutile in terra tedesca (essendo attivo solo nei Balcani) e soprattutto in una città molto più costosa.
Quindi se posso permettermi di darvi un consiglio (anzi due): la città in cui risiede il vostro finanziatore conta. Se avete un prodotto fortemente focalizzato su un mercato (nel nostro caso tedesco) dovete trovare gente che può tornarvi utile su quel mercato. Il passaparola, le raccomandazioni (non quelle all’italiana…) e le conoscenze sono vitali per farvi conoscere e trovare persone che possano consigliarvi (i cosiddetti advisor).
Senza gente del luogo, o che conti veramente, rimarrete solo due ragazzi che stanno facendo un sito internet, come milioni nel mondo. Ci vuole proprio quella persona a cui piacete tanto e che vi presenta quella persona che vuole investire tanti soldi in una cosa proprio come la vostra. Insomma e’ questione di culo, e la fortuna aiuta gli audaci, ma soprattutto quelli che conoscono la gente giusta.
Tornando alla domanda di prima, il perché ho voluto creare una cosa mia, parlo da tecnico e non da business-man, avendo io la carica di CTO ed essendo stato per i mesi balcanici l’unico sviluppatore dell’intera piattaforma: per quanto detto sulla questione del dialogo con capi o colleghi, confermo che nel mio caso e’ stato lo stesso inferno amplificato dalla pressione per i soldi (se non hai il prodotto da vendere, o se non funziona, come li fai sti soldi?). Purtroppo, e vorrei dire che questo e’ stato un mio errore di valutazione, mi sono ritrovato ad essere l’unico tecnico a fronteggiare gli investitori e il mio partner, tutti pressoché ignoranti in ambito di ingegneria del software, e con la bocca piena di parole tipo MVP, lean startup, agile development, lette in giro senza cognizione di causa, ovvero senza capire quando certi criteri sono applicabili e quando no. Soprattutto considerato che ero un unico sviluppatore. Mi aspettavo a momenti che mi chiedessero di fare Scrum con me stesso… Io comunque vengo da ambiti cosiddetti enterprise, con rilasci scanditi da ben precise procedure e tempistiche dettate dai canonici flussi di sviluppo (ricerca-sviluppo-test) che comunque sono più dilatate. Mi sono ritrovato invece con l’alito sul collo per rilasciare qualcosa in tutta fretta per conseguire obiettivi campati per l’aria e soprattutto per far contente persone a cui non interessava minimamente cosa stessi facendo. E con questo rispondo anche alla seconda parte del perché di cui sopra: non sono nemmeno riuscito a fare qualcosa come avrei voluto, ancora una volta ho dovuto sottostare ad improbabili richieste che non hanno portato a nulla. E nonostante le tempistiche con cui ho messo live un prodotto, sono stato accusato di lentezza. E qui la gara tra la mia autostima e l’istinto omicida e’ stata mediata dal mio spirito zen conquistato con anni di yoga.
Come dicevo, la cosa peggiore, e’ essere soli a parlare una lingua a quanto pare incomprensibile, per cui il mio consiglio, se decidete di sviluppare un prodotto informatico/informatizzato, e’ di essere almeno in due sviluppatori e ovviamente l’imprescindibile figura business. Le tempistiche richieste sono talmente ridotte che da soli non ce la farete mai.
Probabilmente la passione che ho messo nella cosa ha cozzato davvero con la mia gestione dello stress, per cui ho messo dei limiti alla mia quantità di lavoro giornaliera; qualcuno ha detto che la startup e’ cosa da giovani, e io forse a 33 anni tanto giovane non sono più, ma credo con tutto me stesso che la startup e’ cosa per insonni o cocainomani.
Come si evincerà da quanto scritto sinora, fare una startup ha molte implicazioni personali, ma mai avrei immaginato che ne avesse altrettante inter-personali.
Quando ti viene il lampo di genio, cominci a parlare della tua idea con amici e conoscenti per capire se la cosa potrebbe funzionare o meno, e in genere noi abbiamo riscontrato molta positività. Poi cominci a parlarne con potenziali clienti, e anche lì devo dire che abbiamo avuto un certo successo. Infine lanci il prodotto e tutti quelli con cui avevi parlato si dileguano.
Come dicevo all’inizio del post, quello che conquista gli investitori sono i numeri, e per avere un certo numero di utenti la prima cosa che fai e’ chiedere insistentemente ai tuoi contatti sui social network di iscriversi, tanto per farti un piacere. Bene, lo abbiamo fatto in tre persone, raggiungendo quasi 1500 contatti, e credo che meno del 5% ci abbia fatto questo favore, e mi rifiuto di pensare che ignorassero l’importanza della cosa.
In fin dei conti, aprire un sito internet e’ come inaugurare un negozio: quante più persone ci sono all’inaugurazione migliore sarà l’impressione che si desterà sui futuri clienti.
Oltre all’iscrizione, la cosa ancora più scandalosa risiede nei like alla pagina ufficiale del progetto, alle condivisioni dei post o del progetto in se, cose che richiedono un frazione di secondo, che se a qualcuno fregasse un attimo di te e di quello che fai non dovrebbero costare nulla.  E invece l’oblio anche in questo caso, ed e’ difficile non ripesare alcuni rapporti alla luce di certe cose, con tutto il cinismo del mondo e consapevole che Facebook non è lo specchio della mia rete sociale.
Purtroppo vi consiglio di farci i conti con questo aspetto, o meglio a non farci conto, soprattutto se avete in mente qualcosa che fa del viral marketing il suo carburante.
Lo stesso discorso vale per potenziali clienti, tra il dire e il fare c’è di mezzo la via lattea.
Insomma, per concludere questa odissea, posso assicurarvi che come esperienza vale la pena di essere fatta, fosse altro per temprarvi e mettere a segno un nuovo limite di sopportazione; inoltre si imparano moltissime cose e in fretta, a volte inutili ma comunque sono novità. Alla fine la vostra startup sarà davvero come un figlio per voi, e la delusione è quando non la vedrete crescere quanto e come vorreste, ma comunque non la abbandonerete tanto facilmente. Se poi pensate di pagarci l’affitto di casa e magari mettere da parte un po’ di euro, allora affidatevi al buon vecchio Gianni Morandi: uno su mille ce la fa, ma quanto è dura la salita!

venerdì 14 febbraio 2014

Vivere a Sofia

Per iniziare questo post occorre un breve cenno sul meccanismo di finanziamento delle start-up. Tutto comincia con un'idea, poi un team e possibilmente un prototipo (o Mvp, croce e delizia degli sviluppatori). A questo punto si parte alla ricerca dei soldi, perché per fare la start-up ci vogliono i soldi; se i soldi ce li avete già forse la strada della start-up (come viene comunemente intesa) non fa per voi. Ci sono diversi modi per cercare / ottenere soldi (si, anche vendere organi o prostituirsi), ma soprattutto se il team ė risicato e senza grosse esperienza in materia imprenditoriale, ci si affida ai cosiddetti incubatori o acceleratori che fondamentalmente ti danno un primo finanziamento, un ufficio e ti mettono a disposizione tutta una serie di strumenti, che comprendono assistenza legale e commerciale, workshop su come trovare altri soldi, acquisire clienti e presentare il prodotto. Tutto questo in cambio di una percentuale della società (generalmente inferiore al 10%).
Ovviamente c'è il rovescio della medaglia. Il nostro incubatore ha ricevuto diversi milioni di euro dalla comunità europea con lo scopo di creare una scena tecnologica laddove lo sviluppo economico deve passare per le start-up, nel nostro caso la Bulgaria. Ogni team che accede a questo incubatore ha l'obbligo di restare a Sofia per i primi 3 mesi del programma, alimentando ulteriormente l'economia locale con l'affitto, il vitto quotidiano e i costi amministrativi e di ufficio che in parte ritornano all'incubatore stesso. Inoltre la società viene costituita in Bulgaria per cui le tasse rimangono in Bulgaria.
Per accedere a questi incubatori occorre fare domanda con la descrizione del prodotto, il business model e il team; superata la prima fase si viene convocati per una presentazione dal vivo del prodotto (detto pitch). Superata la seconda selezione si entra a far parte della rosa di start-up per quel trimestre (il batch). Ed é quello che é successo a noi.
Potrei dire che abbiamo scelto Sofia per il costo della vita e per il fascino dei Balcani, ma la realtà é che sono stati i primi a chiamarci e quindi siamo partiti.
Fatta la dovuta premessa passiamo a Sofia.
Inutile negarlo, essere italiano significa conoscere per lo più quello che ci hanno raccontato i tiggì quando internet era ancora ad uso e consumo del pentagono. Ed é per questo che avevo una marea di pregiudizi sui Balcani e che non avevo in lista nemmeno una visita in questa penisola. Quando ci chiamarono da Sofia ne fui sorpreso e rammaricato. Lasciare Berlino per un posto di cui avevo sentito parlare per sommi capi e non positivamente non mi faceva morire dalla voglia. Inoltre il periodo non proprio lunghissimo (3 mesi) non mi permetteva di sub-affittare facilmente casa a Berlino e non ero disposto a svuotarla per poi riempirla nuovamente al mio ritorno dopo soli 90 giorni. Ho provato a rifilarla a qualche conoscente ma alla fine non se ne e’ fatto nulla. Quindi mi sono trovato a sborsare soldi per una casa che e’ rimasta vuota per tutto il periodo in cui siamo stati a Sofia. 
Inoltre anche la paura di rovinare un rapporto, quello col mio socio, per la convivenza forzata 24 ore su 24, 7 giorni su 7, con il lavoro di mezzo e la mia scarsa voglia di condividere ancora una volta i miei spazi con un’altra persona (chi vive da solo sa di cosa parlo). E poi la solita paura dell’ignoto: quella che era un’idea ora diventava a tutti gli effetti una compagnia, con dei soci di cui non sapevamo nulla e con delle sfide che non sapevo se fossi stato in grado di superare. Ma alla fine ho preso quell’aereo e sono arrivato a Sofia, e alla fine avere il volo diretto da Berlino ha significato comunque stare a meno di 3 ore di viaggio dalla Germania, per cui in cuor mio sapevo che potevo scappare senza troppo preavviso.
Quando andammo a Sofia per la prima volta per partecipare alla selezione, prendemmo un taxi dall’aeroporto che nella sua fase migliore tentò il decollo in curva, e quando arrivammo in hotel ricordo che dissi a mente un rosario.
Quando invece traslocammo fummo accolti in aeroporto dal ragazzo che ci affittò la prima casa, il quale ci portò fin dentro l’appartamento e fu davvero gentile e disponibile per tutto il viaggio. 
Il discorso “appartamento” merita un approfondimento. Una cosa che l’incubatore ci aveva assicurato di fare era fornirci tutta l’assistenza necessaria sia per la compagnia che andavamo a formare sia per il nostro trasferimento a Sofia. E così ovviamente non e´stato. La morale é che alla fine ci siamo dovuti arrangiare da soli alla ricerca di un appartamento, e ci siamo rivolti al buon air b’n’b. Purtroppo non abbiamo trovato un appartamento per tutta la durata del programma, ma abbiamo dovuto spezzare in due appartamenti il nostro soggiorno. Il primo era un po’ periferico, ma nel complesso ben arredato e provvisto di tutto. Unico svantaggio: camera doppia. Ora voi immaginate due persone che si conoscono da un po’ per vie traverse, che decidono di fondare un’azienda insieme, di lavorare insieme, di vivere insieme per 3 mesi, e che si trovano anche a dover dormire insieme! Va bene tutto, ma insomma… almeno i sogni volevo tenermeli per me senza dover pensare al rischio che parlando avrei potuto insultare pesantemente il mio amico/coinquilino/socio. Fortunatamente la pseudo tragedia é durata due settimane, poi ci siamo trasferiti nel nostro appartamento extra lusso in centro Sofia e provvisto di due camere matrimoniali! I costi di questi appartamenti erano e sono davvero abbordabili, diciamo impensabili per l’Italia o la Germania. E a questo punto entriamo nel vero ed unico motivo per cui vale la pena fare impresa nei Balcani: il costo della vita.
In Bulgaria il cambio leva-euro viene ufficiosamente mantenuto 2 a 1, il che si traduce in prezzi generalmente inferiori del 50% rispetto all’euro zona. E questo fa la differenza in ogni cosa: mangiare fuori costa sempre meno di 10 euro (e parlo di ottimi ristoranti, vedi capitolo 5 chili in più in 3 mesi che ho portato a casa come souvenir), le case sono davvero abbordabili e in genere anche concerti/spettacoli sono molto economici. Per un’azienda i vantaggi sono molteplici: lo stipendio medio in Bulgaria e’ di 600 euro circa, il che si traduce in un risparmio davvero notevole sulla manodopera (e non a caso aziende quali vmware e soundcloud hanno spostato lo sviluppo qui), gli uffici così come i commercialisti e gli avvocati non sono costosi, e soprattutto le tasse sui redditi sono flat al 10% e non aggiungo altro.
Partendo dal presupposto che io sono meridionale, a Sofia ho potuto riassaporare diverse cose del sud Italia che mai e poi mai mi sarei aspettato così piacevoli.
In primis il clima… il sole la fa da padrone. Pur non essendoci il mare, Sofia e’ dominata dalla montagna (Vitosha) che la sovrasta e la ripara da molte perturbazioni, facendo si che il clima rimanga sereno. E il sole si riflette nella gente. Vedere la via principale piena di ragazzi, famiglie, bambini che prendono un gelato o qualcosa da bere in uno dei numerosi bar, che hanno sempre tavoli e sedie all’esterno, mi ha fatto ricordare il lungomare della mia città in estate. Banalmente, ma per chi vive in Germania non e’ così scontato, la gente sorride ed e’ gentile.
In secondo luogo, forse di riflesso al sole, le persone sono rilassate. A volte troppo, ma comunque rilassate. Andando a lavoro la mattina sembrava quasi di essere in processione, altro che la mandria di bufali imbizzarriti a cui sono abituato di solito. Mangiare era una cosa che prendeva il suo tempo, quello di cui c’era bisogno. E poi alle 18 tutti a casa. Perché fare oggi quello che puoi fare domani? Ovviamente poi c’e’ il rovescio della medaglia che a volte rendeva esasperanti certe attese (vedi banca), ma in generale ho apprezzato questa pausa nel caos quotidiano che mi attanaglia da troppo tempo.
E poi certi odori, il che potrà far sorridere… ma sapete da quanto tempo non sentivo l’odore di pane appena sfornato? I forni a Sofia erano semplicemente il paese delle meraviglie e rimpiango ogni giorno di non aver provato tutto quello che offrivano. In generale il cibo mi ha dato moltissime soddisfazioni, dal pesce alla carne, dalle insalate ai dolci.
La città, pur avendo 1 milione e 700 mila abitanti, e’ vivibilissima. Il centro e’ piccolo, completamente girabile a piedi e per il resto c’e’ un fitta rete di taxi (che per quanto detto prima costano pochissimo), di tram e bus (che lasciano alquanto a desiderare) e due nuove fiammanti linee metropolitane (che funzionano egregiamente). 
E’ una città storica, dalla duplice anima visibile ad occhio nudo nei tanti monumenti. La storia romanica riaffiora ogni giorno di più, poiché risiede sotto la città e i molti lavori in atto fanno si che avvengano ritrovamenti ad ogni scavo. La storia sovietica invece e’ molto più fruibile essendo parte delle strade e degli edifici che compongono Sofia. In rapporto alla grandezza della città di cose da vedere ce ne sono, e certe visite aiutano a capire meglio lo spirito e la storia della capitale bulgara, per esempio una delle piazze principali che ospita una moschea, una sinagoga ed una chiesa ortodossa.
Non mancano i divertimenti e i grossi (e nuovi) centri commerciali. Oltre che una nuova area fiera e un palazzetto per eventi (dove noi abbiamo assistito al Cirque du Soleil).
Dal mio punto di vista, e’ evidente che stanno arrivando molti soldi dall’europa, e il costo della manodopera sta facendo si che molte aziende informatiche demandino lo sviluppo da queste parti, il che sta portando ad un certo sviluppo tecnologico (basti vedere il wifi gratuito ovunque). L’aeroporto e’ enorme e probabilmente sottoutilizzato al momento, ma molte compagnie ora volano da qui, compresa la super economica wizzair.
Insomma, il benessere e’ in aumento e l’ecosistema per imprese che stanno creando (dal niente) e’ notevole, tant’è che ho la sensazione che se la vecchia europa continua a stagnare, i Balcani invece sono pronti ad una bella impennata (silenziosa). Inutile negare che c’e’ ancora molta poverta’, basta uscire un po’ dal centro, ma spero che le cose in atto riducano anche questa forbice.
Sull’esperienza nell’acceleratore ne parlerò in un post apposito, ma in definitiva posso dire che la vita a Sofia e’ stata davvero interessante, abbiamo conosciuto gente davvero speciale, e sono grato a questa citta’ per aver ampliato i miei orizzonti verso una parte di mondo che prima di allora non mi incuriosiva.

Spero di rivederti presto cara Sofia.